Paese: Franciaposter del film

Anno: 2017

Durata: 55 minuti

Registi Jean-Baptiste Malet, Xavier Deleu

Premi e riconoscimenti
Premio Tournesol per il documentario verde (Svizzera).
Primo premio del festival Ekotop (Slovacchia).

Trailer in inglese https://www.youtube.com/watch?v=vSYL-pqAq5E

Trailer in francese https://www.youtube.com/watch?v=BSjxvLcUnzU

I registi

Jean-Baptiste Malet, giornalista francese, ha scritto numerosi libri e realizzato documentari, tra cui un sondaggio del 2013 su Amazon. The Empire of Red Gold ha vinto il Premio Albert London 2018.

Xavier Deleu, giornalista e regista, dirige documentari d'indagine. Les Héros Sacrifiés du 11-Septembre (2008) è stato premiato al Festival International du Grand Reportage d'actualité.

 

Il film

Tratto dall'omonimo libro di J.B. Malet, un'inchiesta che ripercorre fino ai nostri giorni la storia del pomodoro e della sua industrializzazione, modello produttivo capace già alla fine dell'800 di anticipare l'idea di un'economia globalizzata. Oggi il pomodoro è un prodotto internazionale che viaggia da un continente all'altro, stipato in grandi barili prima di essere lavorato nei vari stabilimenti da cui uscirà in barattoli che ne esaltano la freschezza. Ma dove, come e da chi sono coltivati e raccolti questi pomodori? Dall'Italia, alla Cina e all'Africa, nel seguire attentamente tutti i passaggi di una tra le più redditizie industrie alimentari, emergono i retroscena di un capitalismo brutale e trionfante in cui sfruttamento, criminalità organizzata e minaccia ambientale sono strettamente legati.

Riportiamo una sintesi dell’articolo “Rosso marcio. Un racconto del lato oscuro dell’industria del pomodoro, e del capitalismo” di Alice Zampa, Pubblicato il 19 giugno 2018 su Lifegate
https://www.lifegate.it/persone/news/rosso-marcio-libro-jean-baptiste-malet-intervista
Con un’inchiesta di due anni nel mondo del pomodoro industrializzato, il giornalista francese Jean-Baptiste Malet ha scoperto una storia di globalizzazione dai risvolti oscuri.
La salsa di pomodoro è uno degli ingredienti fondamentali della cucina italiana e di quella di molti altri popoli. Che sia usato sotto forma di passata, di pelati, di salsa o di concentrato, il pomodoro è a tutti gli effetti un alimento universale. Siamo però in pochi a conoscere il lato oscuro della sua storia, in particolare della storia più recente a opera della grande produzione.

Il giornalista francese Jean-Baptiste Malet, insieme al regista e giornalista Xavier Deleu, ha dedicato due anni alla ricerca della verità sull’oro rosso, viaggiando in tutto il mondo e incontrando i protagonisti dell’industria del pomodoro. Da questi incontri sono nati un libro e un documentario. Il libro è pubblicato in Italia da Piemme con il titolo Rosso marcio. Il documentario, L’empire de l’or rouge (L’impero dell’oro rosso), ha suscitato scalpore ed è stato presentato alla 21esima edizione di Cinemambiente. La filiera produttiva del pomodoro produce un fatturato annuo di 10 miliardi di dollari ed è concentrata in poche mani, soprattutto tra Cina, Stati Uniti e Italia.

Malet si è spostato tra gli stabilimenti cinesi, gli immensi campi di raccolta californiani, i nuovi centri di produzione africani e le baraccopoli pugliesi.
Nell’intervista a Lifegate racconta come nel 2011, durante un’inchiesta nel nord della Provenza, in Francia, ha scoperto che Le Cabanon, uno stabilimento storico di produzione industriale di pomodoro francese, era diventato cinese. In quella sede il giornalista ha avuto modo di notare dei grandi fusti blu con la scritta “made in China”, che poi ha rivisto anche in Italia.
Ha quindi deciso di indagare su questa vicenda e ha viaggiato tra Cina, Stati Uniti, Africa e Italia costruendo, in due anni, un quadro completo di questa industria che è sempre più concentrata nelle mani di pochi a discapito dei piccoli produttori. Negli ultimi venti anni la Cina è diventata uno dei principali agenti nel mondo della produzione industriale del pomodoro.

Sono stati alcuni industriali italiani a insegnare il mestiere ai cinesi, fornendogli i macchinari e chiedendo in cambio il prodotto. Dietro il successo della Cina, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, c’è stata un’ingente importazione fatta dai colossi dell’industria conserviera di Salerno.
Il vantaggio della Cina è nei bassissimi costi di produzione, in particolare nello Xinjiang, dove l’etnia minoritaria degli uiguri vive in una terribile situazione di sfruttamento e dove vi sono molti “campi di lavoro”. I lavoratori stagionali guadagnano 0,01 centesimi di euro per ogni chilo raccolto, per una media di circa 25 euro al giorno.

Malet è anche riuscito a visitare alcuni stabilimenti scoprendo ulteriori aspetti inquietanti.
Ad esempio che in quelli della zona di Tianjin, per abbattere ulteriormente i costi, alcuni produttori cinesi aggiungono al concentrato di pomodoro una polvere bianca che consiste in un miscuglio di sostanze addensanti. Il problema è che non viene indicato sulle etichette.
Ogni anno un milione di tonnellate di concentrato di pomodoro lascia il porto di Tianjin in barili blu. Mille di questi arrivano ogni settimana a Salerno, dove, prima di inscatolarlo, l’industria italiana lo trasforma, aggiungendo semplicemente acqua e sale. I barattoli in cui viene venduto spesso riportano la bandiera tricolore e usano nomi italiani in modo che chi lo acquista è convinto di mangiare pomodoro coltivato in Italia. Secondo l’Anicav (Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali), questi prodotti non vengono commercializzati in Italia, ma vengono esportati in tutta l’Europa, in Africa e in molti altri Paesi.
E’ sconcertante e vergognoso che la bandiera e la reputazione dell’Italia, capace di produrre la migliore qualità, vengano utilizzati per vendere agli stranieri un prodotto cinese di bassa qualità!

Inoltre si può essere sicuri della provenienza di un prodotto solo se l’etichetta riporta esplicitamente l’informazione. Purtroppo questo spesso non accade perché la legge lo prevede solo per alcuni prodotti. Per esempio per il ketchup, non è obbligatorio. Da dove vengono i pomodori usati per il ketchup di Heinz, per esempio? L’etichetta non lo dice.

Anche l’Africa è diventato un Paese chiave nell’industria del pomodoro perché in Africa c’è il maggiore consumo pro-capite di derivati del pomodoro. Ad esempio in Ghana, dove l’economia è in forte crescita, l’importazione di prodotti esteri è cresciuta in modo esponenziale, di conseguenza il mercato libero ha stroncato la filiera locale e molti piccoli produttori hanno dovuto chiudere le proprie attività. Spesso sono questi stessi lavoratori che si sono spostati in sud Italia dove, ironicamente, si sono ritrovati a raccogliere pomodori. A Foggia circa 30mila migranti lavorano in campi troppo piccoli per essere lavorati in modo meccanico. Sono pagati 20 euro per 10-12 ore di lavoro sotto il sole cocente.

Nell’intervista Malet conclude dicendo che ritiene che non mangiare pomodoro europeo in Europa sia una follia e che questo sistema globalizzato porta i contadini africani a morire sui barconi. Il prodotto cinese costa meno perché i lavoratori cinesi sono trattati come schiavi, sottopagati e perché le norme ambientali sono meno restrittive. Il prodotto, quindi, è meno controllato e di qualità inferiore, ma passa le nostre frontiere in virtù del libero scambio e della globalizzazione. Il capitalismo senza regole è follia pura.

Scarica la scheda del film in formato pdf.

Novembre 2017